La battaglia di cascina Spiotta
da "Gli anni
del terrorismo"
di Giorgio Bocca (pagg. 140-143)
Il 4 giugno '75 Mara,
che ormai ha assunto la direzione della colonna torinese,
commette le imprudenze che le costeranno la vita: fa rapire
vicino a Canelli, non lontano dal covo brigatista della cascina
Spiotta, l'industriale vinicolo Vallarino Gancia, quarantatré
anni, sposato, con due figli. L'imprenditore esce per raggiungere
lo stabilimento a bordo della sua Alfa, ma a metà strada c'è
una interruzione per lavori in corso. Due auto dei brigatisti lo
serrano; uno degli aggressori sfonda il lunotto posteriore a
colpi di martello, l'altro punta un mitra sull'industriale. Lo
caricano su un furgone e lasciano le auto rubate fra Calamandrana
e Canelli, errore incredibile, dato che cascina Spiotta è poco
distante, vicina ad Acqui Terme. Altra fatale imprudenza: il
brigatista Massimo Maraschi alla guida di una 124 investe nella
zona un'altra automobile e viene arrestato. Ce n'è quanto basta
per far capire che la base operativa delle BR non deve essere
lontana e, infatti, la sorveglianza e le ispezioni vengono
rafforzate. Il giorno dopo, alle 10, una pattuglia di carabinieri
di Acqui esce per battere la zona: deve avere qualche indizio
serio se di essa fanno parte anche il tenente Umberto Rocca e il
maresciallo Rosario Cattafi. Ci sono molte cascine da ispezionare
e la cascina Spiotta d'Arzello è una come tante. Ma siamo al
terzo errore delle BR. Ammette Giorgio Semeria: «Il rapimento di
Vallarino Gancia fu improvvisato perché Mara voleva prendere la
mano alla guida logistica, troppo lenta e prudente. Si era
stabilito di escludere dai sequestri di persona donne e bambini e
di non provocare danni nella persona a coloro che venivano presi
solo per denaro. Ma si continuava a discutere se la decisione
dovesse essere presa dal comando di colonna o dalla direzione
esecutiva. Mara non avrebbe dovuto usare cascina Spiotta. Era una
nostra base da anni, insospettabile dalla popolazione che ci
aveva accettati come amici e che si era abituata alle nostre
facce, a patto però che non avvenissero nelle vicinanze azioni
terroristiche, se no l'associazione di idee con il nostro gruppo
sarebbe stata inevitabile. L'arresto di Maraschi fu la goccia che
fece traboccare il vaso: Dalla
Chiesa capì che il sequestro era opera
nostra e che la base doveva essere nelle vicinanze».
I carabinieri arrivano a cascina Spiotta verso le undici e
trenta: incredibile imprudenza, non c'è nessuno di guardia. Uno
dei carabinieri può percorrere lentamente il sentiero seguito a
poca distanza dalla pattuglia. Nella cascina tutto pare quieto,
ci sono due auto, una 127 e una 128, parcheggiate sotto il
portico di una adiacente casa colonica, dunque nella cascina deve
esserci qualcuno. Il tenente Rocca e l'appuntato D'Alfonso
scendono e si avvicinano alla porta mentre l'appuntato va a
prendere la targa delle auto. Della tragedia abbiamo
testimonianze opposte, ma spesso convergenti: quelle dei
carabinieri e quella di un brigatista rimasto ignoto. Dice il
tenente Rocca: «Bussammo, nessuno rispose. Dall'interno però
giunse il rumore di una radio. Io che mi ero spostato verso
l'angolo dell'edificio alzai lo sguardo a una finestra accostata,
intravidi una donna e gridai: 'Ma allora c'è qualcuno. Signora,
vuole venire giù?'. La sconosciuta si ritirò». Il maresciallo
intanto dà un calcio alla porta, chiama il proprietario il cui
nome è sulla targhetta, Dottor Caruso. La sequenza è serrata.
Nel vano appare un uomo sui trent'anni, alto 1,75, distinto, viso
emaciato. Sembra seccato, c'è un breve battibecco con i
carabinieri. «Che cosa volete?». Invitato a uscire, dice:
«Venite voi, venite». Continua il maresciallo Cattafi: «Aveva
la mano destra ancora all'interno. Lo vidi strappare con i denti
la sicura della bomba e lanciarla. Mi voltai e vidi la bomba
cadere dall'alto, alzai istintivamente un braccio per ripararmi,
vidi rosso, crollai a terra, poi mi rialzai. I brigatisti, l'uomo
e la donna, irruppero fuori sparando; Rocca è a terra, il
braccio sinistro spappolato, il volto sanguinante, colpito dalle
schegge, anche io; raggiunto da alcuni proiettili l'appuntato
D'Alfonso». Conclude le testimonianze l'appuntato Barberis:
«Volevo tornare sull'aia ma aspettavo la conferma. Ancora colpi
di pistola, poi sento il rumore di due motori e vedo venire
avanti una 127 rossa e una 128. Sulla prima, al volante, un uomo
che spara attraverso il vetro. Sparava anche la donna. Le auto
fanno un lungo giro per evitare la nostra auto messa di traverso
sulla strada. Poi si è spalancata la portiera, sono usciti
sparando, poi le grida: Basta, basta, non sparate, siamo
feriti. Ma è un trucco. L'uomo sta per lanciare un'altra
bomba a mano, noi spariamo, l'uomo fugge buttandosi in una
boscaglia». La battaglia è finita: morti Mara e l'appuntato
D'Alfonso, ferito gravemente il tenente Rocca.
Ecco invece la versione brigatista: «Mi alzai dalla tavola dove stava la radio al piano superiore, e andai alla finestra: mi prese un colpo nel vedere vicino alla porta un CC. Corsi da Mara e l'avvertii che c'erano i CC. Mara, urlando che era impossibile, si avvicinò alla finestra, l'aprì e si ritirò dicendomi che erano in tre. Mi chiese da dove potevano essere venuti perché non li aveva visti. In quei minuti ci fu un trambusto indescrivibile, io che caricavo armi e mi riempivo le tasche di bombe a mano, la Mara che correva imprecando a prendere scartoffie. Andammo giù per le scale. Davanti alla porta chiusa, io armato di pistola e quattro bombe a mano, la Mara con borsetta e mitra a tracolla, in mano valigetta e pistola. La Mara insisteva che bisognava prendere le auto e scappare mentre io volevo prendere con noi il sequestrato. Accortomi del casino che ci circondava volli verificare: aprii la porta e messa fuori la testa vidi che c'era un CC all'angolo della casa. Mi invitò ad uscire e cercai di prendere tempo per vedere dove fossero gli altri. Il mio temporeggiamento fece sì che altri due CC uscissero dall'angolo e si mettessero allo scoperto. Dissi a Mara che avrei tirato le bombe e che tutti e tre i CC si trovavano allo scoperto. Usciti, tirai la prima bomba, sentii un gran botto e vidi un fuggi fuggi di CC fra urli e pianti. Uscii di corsa seguito da Mara, tirai un'altra bomba a caso. Mentre eravamo sotto il porticato sentimmo colpi alle spalle e urla. Mi voltai e vidi un CC che correva, la Mara urlò di sparare. Tirammo tutti e due e quando era già disteso la Mara tirò ancora. La Mara urlò di prendere la macchina e di scappare. Un altro CC ci prese sotto tiro e urlava. Gli dissi di non sparare che ci arrendevamo ma feci presente alla Mara che avevo ancora due bombe. Mentre il CC si avvicinava tirai un'altra bomba ma lo mancai, si sentì un gran botto ma il CC era in piedi. Era andata male. Urlai a Mara di svignare e di correre verso il bosco. Mentre correvo a zig zag sentii tre colpi attorno a me. Riuscii ad arrivare nel bosco e a buttarmi nella macchia. Di sopra sentivo la Mara che urlava imprencando con i CC. Mi affacciai e vidi la Mara seduta che imprecava contro i CC e fuggii. Durante la fuga sentii due colpi. . . »
I colpi e le raffiche di mitra sono stati sparati dai carabinieri prima di entrare nella casa e liberare Vallarino Gancia. Mara morta in combattimento o è stata uccisa?
Dall'autopsia risultano tre ferite: due non mortali, inferte, secondo il perito, poco prima della terza, mortale, al torace. Le BF sono certe che la terza ferita fu un colpo di grazia sparato dai carabinieri fuori di sé per la morte di uno dei loro e il ferimento del tenente.
Dice un comunicato BR: «Il nemico non si è accontentato di averla prigioniera. Dopo almeno cinque minuti dalla cattura, una mano assassina l'ha abbattuta a freddo in esecuzione di un ordine preciso». Vallarino Gancia viene trovato in uno stanzino. Nel loro comunicato i carabinieri dicono: «In quella cascina quasi certamente non c'era Curcio».
Nel pomeriggio del 6 un comunicato delle BR dice: «E caduta combattendo Margherita Cagol, Mara, dirigente comunista e membro del comitato esecutivo delle Brigate rosse. La sua vita e la sua morte sono un esempio che nessun combattente per la libertà potrà dimenticare. Mara, un fiore è sbocciato e questo fiore di libertà le Brigate rosse continueranno a coltivarlo fino alla vittoria. Lotta armata per il comunismo!».
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